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Responsabilità sociale d’impresa, i passi da seguire per realizzarla davvero

A partire dal primo decennio del XXI secolo, il marketing viene accusato di essere uno dei colpevoli della crisi economica, reo di diffondere un atteggiamento iperconsumista, che ha legato il concetto della felicità al possesso dei beni materiali.

Già negli anni ’70, Pier Paolo Pasolini, criticava sul Corriere della Sera l’economia del consumismo, seguito da una miriade di psicologi internazionali.

Nel tempo, il marketing ha necessariamente dovuto migliorare la propria immagine, sfruttando la carta della responsabilità sociale d’impresa. Non si parla quindi di marketing tradizionale bensì di marketing sostenibile e responsabile: non più centrato sul benessere individuale di breve periodo ma sul benessere collettivo di lungo periodo.

La responsabilità sociale d’impresa è un “must have”

Per sopravvivere l’azienda, oggi, deve agire nell’ottica di una responsabilità sociale d’impresa.

Se fino a poco tempo fa, l’attenzione alle problematiche della società era una scelta originale per differenziarsi, ora è necessario per la sopravvivenza di lungo periodo, non solo per le grandi imprese, ma anche per le piccole realtà.

Nella scelta di un prodotto da parte del consumatore, il criterio economico non è più l’unica variabile considerata, soprattutto per la Generazione Z. Si fa attenzione ad altri elementi, quali, il packaging plastic free, lo schieramento dell’azienda contro il gender gap, o ancora, il sostegno ai diritti LGTBQ+, e così via.

Vengono valutate una serie di misure e pratiche con fini etici, ambientali e sociali che un’impresa mette in atto nelle sue operazioni commerciali.

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L’azienda come “cittadino” della comunità

Se in passato le aziende potevano concentrarsi esclusivamente sul raggiungimento della redditività, ora la necessità è di ottenerla mostrando qualcosa in più, lavorando per il bene della comunità.

L’impresa è un sistema aperto che si relaziona con l’ambiente. Per perdurare nel tempo deve seguire i passi della società, e adeguarsi ai cambiamenti richiesti dai consumatori, che, grazie al web, discutono e si confrontano.

Se la reputazione aziendale è l’asset intangibile da seguire, allora la migliore reputazione possibile è quella che si realizza dimostrando l’impegno nell’ambito comunitario. All’azienda è richiesto una responsabilità sociale d’impresa che migliori le condizioni ambientali e sociali della comunità nella quale è inserita, secondo un atteggiamento “corporate citizenship”, quello proprio di un cittadino.

La cittadinanza d’impresa, promossa dall’ex segretario delle Nazioni Unite, Kofi Annan, nel 2000, nel Global Impact, comprende 10 principi essenziali:

  1. promuovere i diritti umani
  2. non essere complici di abusi dei diritti umani
  3. sostenere la contrattazione collettiva
  4. eliminare il lavoro obbligatorio
  5. eliminare il lavoro minorile
  6. eliminare le discriminazioni lavorative
  7. sostenere un approccio preventivo alle sfide ambientali
  8. promuovere azioni di responsabilità ambientale
  9. contrastare la corruzione
  10. incoraggiare lo sviluppo di tecnologie che rispettino l’ambiente

I concetti, ribaditi nel 2001 nel Libro Verde dall’Unione Europea, sottolineano che la sostenibilità non è l’elemento per differenziarsi dalla concorrenza, quanto una via da seguire per rimanere competitivi, e i programmi di responsabilità sociale d’impresa rappresentano un modo per soddisfare questo obiettivo.

Secondo un sondaggio pubblicato dal Word Economic Forum, 9 cittadini su 10, a livello globale, auspicano di vivere in un modo maggiormente sostenibile nel post-Covid 19.

Il 72% degli intervistati dichiara di aspettarsi un miglioramento delle condizioni di vita anziché un ritorno alla vita pre-pandemia.

Si tratta di un messaggio chiaro che le aziende non possono ignorare, “continuiamo a valutare il successo su basi unicamente finanziarie” ha affermato in un intervento al vertice WEF, Alan Jope, Chief Executive Officer di Unilever, “è bizzarro e superato. Le nostre metriche finanziarie, così come la misura della ricchezza di un paese basata sul PIL, stanno creando diseguaglianze sociali e degrado ambientale”.

D’altronde, come asseriva Robert Kennedy nel 1968, “il PIL misura tutto tranne ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”.

Come realizzare una strategia di responsabilità sociale d’impresa

Il concetto di CSR (corporate social responsability), fu espresso già nel 1953 nel libro Social Responsability of Bussinessman di Howard R. Bowen, nel quale l’autore si chiede quali responsabilità verso la società sia lecito aspettarsi da chi dirige un’impresa.

La Commissione Europea definisce la CSR come “la responsabilità delle imprese per il loro impatto sulla società”.

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Quali sono i passi da seguire per realizzare una strategia d’impresa responsabile?

  • Determinare i valori aziendali, secondo le priorità della comunità, collegandoli al brand. Un esempio, è il lavoro di Access Writers Program di WarnerMedia, (produttore di intrattenimento tv), il cui ultimo programma è focalizzato sul migliorare l’accesso alle professioni televisive da parte dei soggetti delle comunità più svantaggiate
  • Ottenere informazioni dettagliate da parte degli stakeholder (attraverso sondaggi, a risposta aperta e multipla), in modo da capire rispetto a quali temi ambientali e sociali i clienti sono più sensibili, e cosa conoscono del passato dell’impresa stessa. Il punto di partenza è la raccolta di feedback da parte degli stakeholders interni dai quali poi si possono intercettare le esigenze della comunità esterna. A tale scopo può risultare utile leggere le informazioni di Community Tool Box, che offre suggerimenti utili per comprendere le esigenze dell’attuale società
  • Prendi in prestito una buona strategia: cerca di individuare i campi di sostenibilità più seguiti. Non pensare che copiare sia sempre un fatto negativo, ogni brand sarà comunque unico nello sviluppare la propria strategia. Per selezionare le migliori strategie già messe in atto ci si può rivolgere alla Baker Library della Harvard Business School, che offre un elenco di report sulla responsabilità sociale delle imprese (la maggior parte delle quali allineate con gli obiettivi di sviluppo delle Nazioni Unite sopra citati)
  • Coinvolgimento interno, è fondamentale che la leadership sappia coinvolgere i dipendenti nella creazione della strategia, che permetta loro di rispecchiarsi nel valore supportato, e consenta la massima condivisione dei feedback, in modo da creare un maggiore senso di comunità, soddisfazione e motivazione. È importante che tutti i dipartimenti dell’azienda collaborino tra loro per il raggiungimento dell’obiettivo, in particolar modo è auspicabile la collaborazione del team che si occupa della responsabilità sociale d’impresa con l’area marketing e comunicazione
  • Creare partenariati esterni, dare vita a collaborazioni con organizzazioni o individui che nella società stanno già portando avanti i valori di CSR condivisi dall’impresa. Può essere vantaggioso per generare soluzioni alternative e aprire nuove opportunità riguardo a finanziamenti, sponsorizzazioni e occasioni di volontariato
  • Essere chiari e trasparenti, fissando obiettivi misurabili con metriche di misurazione, per mantenere la fiducia delle persone e a creare un senso di rigore e cura intorno al marchio. Utilizzare un linguaggio numerico consente inoltre di valutare e capire con maggiore facilità i risultati, anche all’impresa stessa. Altrettanto importante sarà poi comunicarli, ciò può avvenire attraverso diversi canali, sito web, newsletter, social media ecc.
  • Migliorarsi continuamente, le strategie di responsabilità sociale d’impresa devono saper essere flessibili perché riguardano le esigenze delle persone, e come tali sono in continua evoluzione. Ad esempio, con la diffusione del Covid-19, molte aziende hanno dovuto adeguarsi ai cambiamenti e rivedere i loro piani repentinamente. Saper anticipare è senza dubbio un fattore chiave.

Parola d’ordine: Report

A causa delle restrittive normative governative e dell’autoregolazione di alcuni, la necessità di una puntuale rendicontazione circa la responsabilità d’impresa è andata crescendo

Il World Business Council Sustainable Development definisce il report pubblico come la modalità da parte delle aziende di fornire informazioni agli stakeholders (interni ed esterni). Il report fornisce un quadro della posizione aziendale sulle attività circa la dimensione economica, ambientale, sociale.

Consente di individuare i punti deboli da migliorare e fornisce informazioni spesso assenti dai rapporti finanziari, tanto che, al classico bilancio economico-finanziario, è abitudine allegare il bilancio sociale.

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Il report rappresenta l’impegno dell’azienda nei confronti degli stakeholders, ne migliora la fiducia, e fornisce la potenzialità di attirare nuovi investitori green.

Secondo l’indagine di Deloitte, su oltre 2000 dirigenti, pubblicare e condividere un rapporto annuale di responsabilità sociale d’impresa aumenta la possibilità di ottenere un maggior successo.

Inoltre, protegge la reputazione del marchio contro il rischio di un’errata percezione da parte dei consumatori, che spesso temono che l’azienda possa fare tanti discorsi ma pochi fatti.

Deloitte ha individuato le pratiche per stilare un buon report:

  • Usare indicatori KPI (key performance indicator), riconosciuti a livello globale, che allineano il report alle guide standardizzate
  • Coinvolgere numerosi professionisti e gruppi di consulenza indipendenti per consigliare l’impresa con sguardo obiettivo proveniente dall’esterno
  • Effettuare un incrocio tra report cartaceo e digitale. Ultimamente la pratica si indirizza verso un cartaceo breve che rimanda ad una descrizione più dettagliata sul web, facilmente accessibile ai più.

Chi è il professionista del marketing ambientale

Con lo sviluppo di una responsabilità sociale d’impresa si modifica l’assetto organizzativo aziendale. Si sono rafforzati gli uffici legali delle imprese, si inseriscono così nuove figure necessarie, quali, ad esempio, l’esperto di marketing ambientale.

Si tratta di una figura che sa spaziare dallo studio attento degli adempimenti normativi, alla ricerca dei finanziamenti, fino alla comunicazione all’esterno dell’orientamento imprenditoriale. È una figura che deve saper conciliare gli obiettivi economici dell’impresa con il contributo che fornisce alla società.

Il ruolo da ricoprire richiede skills tecniche normative/ambientali, ma anche competenze trasversali, quali la capacità comunicativa e di leadership.

Dall’identikit del responsabile della sostenibilità, tracciato nel 2022 da Sustainability Markers, emerge che il 64,6% è donna, il 36,5% di esse è in possesso di una laurea in management e il 19,8% di una laurea dell’ambito tecnico-scientifico.

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Attenzione al Greenwashing: quando alle parole non seguono i fatti

Non è sufficiente raccontare di portare avanti dei progetti green, occorre metterli in atto e raggiungere risultati concreti.

Il greenwashing, neologismo inglese, tradotto come ecologismo di facciata, indica la strategia di comunicazione di quelle imprese che, con poco sforzo, cercano di acquisire una reputazione sociale di facciata. “Un’appropriazione indebita di virtù e di qualità ecosensibili per conquistare il favore dei consumatori o, peggio, per far dimenticare la propria cattiva reputazione di azienda le cui attività compromettono l’ambiente” (Furlanetto, 2013).

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Il termine viene fatto risalire al 1986, ad opera dell’ambientalista Jay Westerveld. In quell’occasione, fu utilizzato per denunciare il comportamento degli alberghi che invitavano gli ospiti a ridurre il numero di asciugamani utilizzati dai clienti, al fine di diminuire l’impatto ambientale del lavaggio degli stessi. Il reale motivo, notò l’ambientalista, era invece quello di lenire i propri costi relativi al lavaggio.

Ricorrere a questa strategia è una strada molto pericolosa, che può danneggiare l’impressa anziché aiutarla, come potrebbe sembrare.

Quali sono i principi da seguire per non cadere nella trappola del greenwashing?

  • Autenticità della comunicazione, che deve avere riscontro concreto in ogni particolare che viene raccontato, altrimenti è meglio non dire
  • Sincerità: comunicare le best practice aziendali, ma anche quegli aspetti che vanno migliorati e sui quali si sta lavorando. Non esiste un’azienda ad impatto zero e il consumatore questo lo sa
  • Comunicare le informazioni in modo tecnico, per avere credibilità, ma allo stesso tempo in modo non troppo scientifico. Ricercare un linguaggio creativo per renderlo comprensibile a tutta la comunità
  • Continuità: l’attività di sostenibilità deve essere costante e avere obiettivi di lungo termine, non può estinguersi in un’attività temporanea, una singola azione non rende l’azienda sostenibile
  • Autorevolezza: i dati comunicati circa l’operato sostenibile devono essere certificati da enti esterni, non solo autocelebrati da chi li realizza
  • Non farti travolgere dagli effetti mediatici e dalle mode del momento. Non comunicare un comportamento che potrebbe essere difficile da realizzare concretamente, fissa obiettivi concreti per avere risultati concreti

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Source: http://www.ninjamarketing.it/

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