Si fa presto a dire “la mia azienda è inclusiva”, ma è veramente così?
Negli ultimi anni i temi dell’inclusione e della diversità sono stati sulla bocca di tanti brand ma, all’atto pratico, le strategie di marketing inclusivo di molte aziende sono ben lontane dal trasformare quelle parole in azioni concrete.
Nel corso di un panel svoltosi durante la conferenza Media360, organizzata da Campaign, gli esperti di marketing e comunicazione hanno fatto il punto sull’attuale situazione, mettendo al centro l’importanza per i brand di pensare al di fuori della propria bolla.
Inclusione e diversità, la parola agli esperti
“I piani marketing sull’inclusione stanno dimostrando il successo futuro del tuo business” ha dichiarato Nafisa Bakkar, chief executive officer e co-founder di Amaliah, la principale media company del Regno Unito per le donne musulmane. “Quello che chiamavamo “pubblico della minoranza” è ad oggi la maggioranza sul piano globale. Se non se ne parla adesso, si rischia di rimanere indietro“.
Bisogna ricordare che, quando si parla di diversità, ci riferiamo a 7 aree:
- genere e identità di genere
- disabilità
- età
- etnia
- orientamento sessuale e affettivo
- status socio-economico
- religione o credo.
Diventa evidente che quelle “minoranze” sono in realtà il pubblico maggioritario a cui ogni azienda dovrebbe rivolgersi e con cui dovrebbe creare una forte connessione.
A confermarlo sono anche i dati raccolti in Italia dalla ricerca del Diversity Brand Index che evidenziano come la crescita dei ricavi per un brand inclusivo possa superare il 23% rispetto ad un brand non inclusivo.
Quando si parla di soddisfazione del cliente i numeri sono ancora più schiaccianti: le marche più inclusive confermano una leadership assoluta con un NPS (NET Promoter Score) massimo pari all’86,5% contro il -90,9% dei brand non inclusivi.
Il pubblico è pronto. E le aziende?
Ma come si fa a mettere in atto processi che conducono all’inclusività? “Si tratta di microdecisioni – ha dichiarato Claire McAlpine, capo congiunto dell’hub per il cambiamento sociale di MediaCom – Abbiamo un ruolo decisivo nell’impostare l’agenda. Quali segmenti di pubblico diventano il tuo target, con quali influencer scegli di lavorare: il cambiamento sistematico è un evento che avviene giorno per giorno“.
Quello che è evidente agli occhi degli esperti è come questa evoluzione stia avvenendo in maniera lenta, soprattutto nelle media company tradizionali.
“Il cambiamento richiede tempo. Le persone, le compagnie media e le aziende hanno lavorato in modo prestabilito per un lungo periodo di tempo” ha precisato Ibrahim Kamara, co-fondatore e caporedattore della piattaforma di media digitali GUAP.
Un cambiamento, però, che vede i giovani consumatori italiani pronti. Infatti, il pubblico compreso tra i 18 e i 25 anni, è maggiormente attento all’aspetto Diversity & Inclusion nelle pubblicità e nella comunicazione, tanto da essere un elemento che ricordano e considerano decisivo al momento dell’acquisto. Questo è quanto riporta il “Global Marketing Trends Report 2022” di Deloitte.
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Essere inclusivi ogni giorno
Un trend sempre più in voga sono le azioni di marketing inclusivo solo durante periodi o eventi specifici.
Un esempio su tutti è il mese del Pride, quando le aziende tirano fuori le bandiere rainbow per esprimere solidarietà alla comunità LGBTQIA+. Secondo un’analisi di Google, il 71% dei clienti LGBTQIA+ ha maggiori probabilità di acquistare da un brand che li rappresenta autenticamente e in maniera costante.
Eppure, alla fine di giugno, gli arcobaleni e gli slogan legati all’orgoglio queer finiscono in soffitta per essere rispolverati l’anno successivo.
“Il Pride può rappresentare il momento più superficiale per l’inclusività. Ogni comunità ha enormi sfumature culturali. È fondamentale chiedersi se abbiamo davvero approfondito l’insight e se abbiamo costruito conversazioni con quella comunità durante tutto l’anno. Questo non significa che non possa esserci un ruolo per i brand nelle occasioni “chiave”. Se hai supportato quelle comunità per un certo tempo, è giusto che ti esponi durante quei momenti chiave” è il pensiero di Jerry Daykin, vice presidente e head of media presso Beam Suntory.
A proposito di brand inclusivi, gli speaker hanno fatto i nomi di Reebok e di Dove che, nonostante abbiano ovviamente obiettivi di vendita e di marketing da raggiungere, continuano ad impegnarsi ogni giorno nella costruzione di messaggi, ma soprattutto di azioni volte a rappresentare la diversità.
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“Penso che sia l’industry a definire quali sono quei momenti culturali piuttosto che ciò che il pubblico sceglie. Molte cose sono predefinite sulla base di obiettivi strategici dei brand invece di ciò che le culture vogliono effettivamente ogni giorno” ha concluso Kamara.
Sempre dalla ricerca del Diversity Brand Index i dati in Italia parlano molto chiaro: il 77,5% della popolazione è maggiormente propenso verso i brand più inclusivi.
Non prendere in considerazione questi numeri significa non rivolgere lo sguardo ad un pubblico che è sempre più attento a ciò che acquista ma soprattutto ai valori che sceglie di sposare.
L’inclusione e la diversità non sono semplicemente bandiere da sventolare, ma soprattutto bandiere da difendere.
Source: http://www.ninjamarketing.it/