C’è un gesto molto semplice ed efficace per respirare aria nuova. Basta aprire la finestra di casa.
Quel gesto consente di fare entrare in un attimo ingenti quantità di nuovo ossigeno. È così scontato e, al tempo stesso, poco praticato. Produce anche degli inconvenienti: qualche bel cimicione potrebbe approfittare della tua ospitalità, ma niente di grave se in cambio c’è una nuova condizione: ossigeno per la mente.
Lasciare aperte le finestre è una metafora per spiegare quello che non è successo nel nostro “vecchio continente”.
Abbiamo generato e scandito tutte le più importanti rivoluzioni della civiltà ma non riusciamo a cavalcare l’era in cui viviamo: l’era digitale. Il motivo è chiaro: siamo ancorati ai modelli delle civiltà pre-digitali.
Attenzione, il mio non è un giudizio, non ho le competenze per giudicare, non sono un antropologo, la mia è una constatazione: abbiamo lasciato le finestre chiuse. Altrimenti perché tutte le organizzazioni più performanti e “rivoluzionarie” sono basate in USA? Che poi USA non vuol dire nulla, meglio parlare di luoghi precisi dove certe cose accadono.
Personal computer, smartphone, app sono alcuni rappresentanti di una corrente che continua a coinvolgere contemporaneamente milioni di persone. E poi Netflix, Tripadvisor, Instagram, Amazon, Tesla, Wikipedia (la lista è molto lunga) perché nascono negli stessi luoghi?
È probabile che i nostri limiti siano scritti nelle radici della nostra cultura. Noi siamo collegati alla complessità e non riusciamo a sintonizzarci sulle frequenze superficiali. È come se non riuscissimo a semplificare, a scartavetrare la complessità, a divertirci.
Tutto deve essere serio, se non è serio non ha l’approvazione dei baroni del potere, non è un prodotto buono per l’umanità. Forse siamo troppo abituati a fare i conti con i nostri antichi saperi e le nostre naturali posture di fronte all’innovazione.
Al contrario, l’innovazione è ignorante ed è superficie, perché non ci sarà mai luce nei profondi pozzi della conoscenza.
Bene, ci hanno pensato loro. Sono stati ignoranti, hanno aperto la finestra per accogliere pienamente una nuova condizione culturale in grado di soddisfare i bisogni latenti di un’umanità in progressione, primo tra tutti la semplicità a dispetto della complessità. Hanno stabilito una nuova frequenza per dialogare con il mondo intero: il gioco (semplice, divertente, pop).
Questa straordinaria frequenza si chiama Gamification.
Le possibilità innovative dell’ignoranza
Semplice non è il contrario di difficile, ma di complesso.
Ti sei mai accorto che siamo costantemente alla ricerca disperata di esperienze perfettamente semplici? Questa nuova cultura, la nostra cultura, detesta le istruzioni, detesta la fatica, detesta la complessità.
Il nostro riscatto è vicino. Sono convinto che noi del vecchio mondo non saremo mai completamente ignoranti ma riusciremo a trasformare questo svantaggio in una preziosa possibilità. Le condizioni ci sono tutte, manca solo una dose di follia per riuscire ad essere i nuovi protagonisti delle prossime fasi dell’era digitale contemporanea. Riusciremo a fare nuove cose che miglioreranno la vita di moltitudini di persone. Qual è il primo passo? Mettersi in ascolto sulla frequenza che ha messo in onda la rivoluzione digitale.
Capisci adesso l’urgenza? Quanto lavoro c’è da fare? Quante cose potrebbero essere cambiate se, quando costruiamo soluzioni per le Persone, indossassimo definitivamente gli occhiali della gamification?
Cos’è la Gamification, praticamente
C’è una visione romantica della gamification nella mia mente che mi fa catalogare molte esperienze sotto il cappello della gamification. Un esempio immediato è quando la mamma ti faceva l’aeroplano.
Cosa voleva da te? Voleva trasformare un momento difficile e nervoso come quello del pranzo in un momento divertente. Qual era la sua ricompensa? Facile, far atterrare quel cucchiaino colmo di pastina (terribilissima pastina di farina ultra raffinata) nella tua boccuccia già colma di cibo semi-masticato in ogni dove.
Oppure, fammi fare anche questo esempio: IKEA. Ti dice qualcosa il foglietto delle istruzioni senza manco una parola? Solo simboli e disegni. Ha costruito la sua fortuna sul foglietto delle istruzioni.
Sto dando di matto? No, per nulla. Pensaci, l’opuscolo di IKEA è diverso: è semplice, è intuitivo e poi non ti ricorda vagamente un gioco? È talmente sfidante che lo giri sottosopra finché non infili anche l’ultima vite, anche nel posto meno indicato, pur di urlare: “si può fare, io ce l’ho fatta, io sono un eroeeeee“.
Penso che buona parte del successo di IKEA derivi proprio dal fatto che sono riusciti a trasformare una cosa difficile, impensabile e non raggiungibile in una cosa semplice e diciamocelo, anche divertente.
Non ho dubbi: al di là dei romanticismi, la parola gamification sta bene in bocca solo a chi ne ha studiato almeno le basi. Per accelerare il processo di apprendimento su questo tema mi avvarrò della tabella qui sotto.
Piccola condizione, compilala di getto, non ci pensare troppo. Metti un simbolo in corrispondenza delle stelle, dove 3 stelle è il valore massimo.
Forse le possibili risposte nella tabella ti hanno permesso di fare una fotografia sulla tua conoscenza o livello di applicazione della gamification.
Di fatto qualcuno inizia dall’idea, altri da un’azione di marketing quasi involontaria, l’importante è che queste esperienze ti consentano di arrivare ai tuoi obiettivi. Nel mio caso, posso raccontare di aver piantato il seme della gamification partendo da un’azione, per poi passare allo sviluppo di una strategia e infine a un vero programma.
Puoi fare quindi un’integrazione momentanea e parziale oppure abbracciare un progetto culturale che coinvolge intimamente tutta l’azienda per sfociare magari in un programma di gamification con un respiro di medio/lungo termine.
Ma sei sicuro che sia questo il reale atterraggio del significato di gamification? Che si esaurisca così l’argomento: cos’è la gamification?
La definizione di gamification su Wikipedia è questa: “è l’utilizzo di elementi mutuati dai giochi e dalle tecniche di game design in contesti esterni ai giochi”.
Questa affermazione è solo la componente “meccanica” e non tiene conto del valore culturale. Mi permetto di chiedere soccorso, mi scuso in anticipo per quello che sto facendo, e di mutuare una citazione del maestro Alessandro Baricco:
“Ce n’è abbastanza per capire quello che stava succedendo: l’elevazione del gioco a schema fondativo di un’intera civiltà”.
Baricco con “The Game” compie una esaltante esplorazione tra le radici della metamorfosi culturale avvenuta sotto i nostri occhi a partire dal 2008, l’anno della diffusione dell’iPhone. Baricco descrive come in quel momento storico gli equilibri con la complessità del ‘900 si rompono.
Da quel momento c’è una nuova superficie ostinatamente semplice [che nasconde la complessità] su cui prendono forma molte delle nostre esperienze: lo schermo cliccabile dell’iPhone. Cos’era successo? Quell’apparente telefono fu concepito sullo schema di un gioco per bambini: lo schermo touch, i colori, le icone grandi, la grafica giocosa, tutto riconduceva al mondo del gioco, all’infanzia.
L’iPhone aveva quindi imposto il suo successo grazie alla semplicità, all’assenza di fatica, a gesti immediati che consentivano di collegare chiunque lo utilizzasse a qualsiasi tipo di esperienza.
Sto cercando di dirti che la gamification è disperatamente più rilevante, significativa e presente di quanto tu possa immaginare.
La gamification non è un gioco, ma la frequenza su cui si trasmette l’era digitale.
La gamification ha cambiato profondamente tutte le organizzazioni pubbliche e private. Entrambe sono state costrette a risintonizzarsi, talune non ce l’hanno fatta e sono scomparse, su quell’unica frequenza su cui era sintonizzato il grande pubblico che riceveva unicamente esperienze gamificanti: semplici, intuitive, giocose e divertenti. Il divertimento è una delle pochissime leve che concede di aprire le stanze della nostra mente. Pensaci: se non ti diverti non ricordi, se non ricordi non torni.
I big puntano sulla gamification
Alcune organizzazioni cavalcano questa immensa onda meglio di altre e oggi sono all’apice del successo. Mi riferisco ad aziende come Facebook, Instagram, Spotify, Netflix e molte altre di questo tipo.
L’esperienza che propongono fa univocamente riferimento al mondo dei videogiochi.
- I like equivalgono ai punti,
- i dislike alla sconfitta,
- le classifiche
- i tratti grafici tipici del mondo dei video giochi: gli emoji, i cuori, le stelline, le condivisioni, ecc.
C’è quindi una spiegazione alla velocità con cui la cultura digitale ha attecchito negli USA, in Europa e in altre parti del mondo: il gioco. Il gioco è l’esperienza che mette assieme tutti. Mi spiego subito, ma serve un veloce passo indietro.
Per la nostra cultura il gioco è da sempre una componente fondamentale nelle esperienze di crescita e più in generale di vita, per questo motivo il passo è stato brevissimo: abbiamo velocemente abbracciato i nuovi strumenti digitali grazie alla loro componente ludica già parte del nostro mondo esperienziale e in qualche modo innestata nel nostro DNA. Ma non basta. Come è stato possibile?
La rivoluzione digitale attraverso il gioco
Hai mai sentito parlare del Commodore 64? È il primo personal computer, per la prima volta quel mondo di schede e circuiti, fino a un attimo prima destinato a ingegneri in camice bianco, era finito nelle case di moltissime famiglie in molti continenti. Era il 1982. E se non hai vissuto quel periodo è bene che tu sia a conoscenza del fatto più importante: il reale utilizzo di quell’orribile oggetto grigio: giocare.
Il gioco è stato il linguaggio grazie al quale abbiamo fatto entrare la rivoluzione digitale.
Abbiamo fatto entrare la rivoluzione digitale in casa nostra a bordo di un gioco.
Nota: peccato che le leve del gioco siano state escluse dalla sfera professionale fino alla diffusione dell’iPhone nei corridoi delle aziende. Solo negli ultimi anni è stato possibile immaginare che nelle aziende venissero proposti momenti di sviluppo e di crescita interni basati sulle logiche del gioco, prima di allora si sarebbe strillato allo scandalo.
Molte organizzazioni sono in bilico, non hanno ancora maturato quella consapevolezza che servirebbe per stare realmente dentro ai giochi [visto il tema ci sta benissimo]. Il rischio di uscire è elevatissimo. Pensate solo alle banche. C’è una rivoluzione in corso. Chi ha sviluppato “App molto wow” sta spaccando le ossa alle vecchie organizzazioni parcheggiate con le quattro frecce.
Piccola pausa di riflessione, voglio quindi chiarire i miei obiettivi: io sono qui con tutto il mio entusiasmo perché
- vorrei che tu percepissi quanto spazio di manovra ci sia ancora
- vorrei che tu cogliessi nel profondo questa trasformazione per poterla cavalcare al 100%
- per tradurre quanto ho sperimentato con successo per te e per la tua organizzazione
- perché è urgente
Insomma, la gamification è frequenza che abilita le nostre esperienze di successo. È la frequenza su cui trasmette l’era digitale. Se un’esperienza digitale è facile, intuitiva, usabile, divertente, innovativa, allora sarai sulla frequenza giusta.
Source: http://www.ninjamarketing.it/