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Il marketing della politica al bivio: quale futuro dopo Silvio Berlusconi

[FLASHBACK] È il 1993 e sono seduto in un divano con alcuni parenti. Non ricordo nulla di quella conversazione, tranne una frase: “Se scende in campo stai sicura che lo voterò!”.

Anche io“, fu la risposta di mia madre. Quello che rammento dopo è solo una grande sensazione di noia: odiavo i salotti ed ero troppo piccolo per capire che stava per iniziare una nuova epoca della storia italiana.

Un’epoca che, la noia, l’avrebbe vinta abbondantemente.

La living room campaing in Italia

Per “living room campaign“, negli Stati Uniti, si intende la campagna elettorale che arriva direttamente dentro le case: il salotto, dove la famiglia si riuniva dopo cena, attorno alla televisione, era il fulcro di quella comunicazione che, prima dell’avvento del web, era esclusivamente monodirezionale.

Sembra passata un’era dal celebre dibattito Kennedy-Nixon: allora JFK “vinse” grazie a un’immagine più fresca e distintiva; Nixon, con la sua giacca grigia, si confondeva con lo sfondo e sembrava a disagio persino nella postura.

Nessuno si era preso la premura di spiegargli come si doveva apparire in televisione.

Chi ascoltò quel dibattito alla radio confessò, in larga maggioranza, di preferire il repubblicano, ma la televisione aveva già cambiato le regole del consenso: negli Stati Uniti, in ogni salotto ce n’era una.

Silvio BerlusconiSilvio Berlusconi

La giacca verde di Occhetto

22 marzo 1994: va in onda, su Canale 5, il funerale mediatico dell’immaginario della Prima Repubblica.

Nel “Braccio di Ferro” in studio da Enrico Mentana, Silvio Berlusconi è contrapposto ad Achille Occhetto.

Sono passati quasi 35 anni dal celebre dibattito americano ma, si sa, in Italia il tempo scorre più lentamente e le logiche televisive (ben note al magnate di Arcore) erano sconosciute all’ultimo segretario del Partito Comunista Italiano.

La giacca di Occhetto è improponibile per la TV. La sua immagine, un po’ “ostalgie“, gli costerà cara alle urne. Traumi duraturi: se vi capita di vedere oggi Occhetto in qualche apparizione TV, non potrete non notare il suo outfit da harleysta.

Una volta Paolo Romani in un’intervista disse che il mestiere della politica non si improvvisa: anche se sei un grande manager, intellettuale, medico, imprenditore, professore o altro, in politica rischi sempre di fare una pessima figura.

La politica è una cosa complessa e imperscrutabile, un lavoro diverso da tutti gli altri e l’arroganza di pensare che, se si è i migliori nel proprio campo, si possa esserlo anche alle urne, ha lasciato molte vittime sul campo.

Silvio Berlusconi è stato l’eccezione pure in questo.

Lui, che pure la politica la frequentava, si mise seriamente a studiarla, comprese che la fine della partitocrazia avrebbe creato un vuoto di consenso impressionante nell’Italia moderata e anti-comunista e che quel vuoto andava colmato.

Ragionò da uomo di pubblicità: intercettò un bisogno e gli diede una risposta.

Per farlo non peccò di arroganza: sapeva che Roma avrebbe potuto travolgerlo e per questo scelse una squadra di politici navigati, esperti, pubblicitari, consulenti, sondaggisti e professori che lo aiutarono a mettere su quel “partito di plastica” che andò a sconfiggere, contro ogni previsione, “La gioiosa macchina da guerra” del PDS.

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Dance novanta e il messaggio di marketing di Berlusconi

Mentre alla radio risuonavano le hit di Corona, Ice MC, di Fiorello e degli 883, il messaggio di marketing politico che passava in Italia era chiaro: se si voleva continuare quell’alba di crescita e di spensieratezza, il voto non sarebbe dovuto andare ai nipotini del PCI.

Un concetto semplice, dalla costruzione però estremamente complessa che si rivolgeva direttamente alla mente emotiva dell’elettorato: la paura di un ritorno all’epoca del pre-Muro si contrapponeva a una novità, tanto luccicante quanto rassicurante.

Agli italiani quell’offerta piacque e nacque un Governo (molto breve, a dir la verità) che fu precursore di un decennio che sconvolse le regole del marketing politico.

Nel 1994 i candidati venivano scelti in veri e propri “casting”, sul modello televisivo. A tutti veniva consegnato il “kit del candidato”, una valigetta piena di gadget, bandiere, videocassette, una cravatta tricolore e guide per studiare come esser pronti a rispondere a ogni intervista.

Al posto delle notifiche degli smartphone che non c’erano, nel 2001 arrivò in tutte le case “Una storia italiana”, un libretto impressionante, per cura dei dettagli e raffinatezza della costruzione, che ripercorreva la vicenda umana, professionale, politica e sportiva di Silvio Berlusconi.

Uno di noi insomma, ma più bravo. Anche il 2001 fu un trionfo e l’inizio del Governo Berlusconi II.

Il mondo, però, era già tremendamente diverso da quello del 1994: alla fine della Guerra Fredda si era sostituito l’inizio della guerra al terrorismo islamico e ogni anno che passava allontanava quella narrazione positiva ed entusiasta, figlia degli anni novanta, da una realtà sempre più complessa, frammentata e cupa.

Nel 2006 Silvio era alla vigilia dell’ultimo trionfo elettorale, ma la grinta che lo aveva contraddistinto era sempre la stessa. Come emerge in un aneddoto rivelato recentemente da Fabio Capello in un’intervista: “Ricordo che Silvio Berlusconi mi chiamò per chiedermi come stava Ronaldo. Gli dissi che non si allenava nemmeno e che amava molto le feste e le donne, quindi ingaggiarlo sarebbe stato un errore. Il giorno dopo ho visto il titolo del giornale: ‘Ronaldo a Milano’. È stato molto divertente“.

Il futuro del marketing politico dopo i gadget

Adesso i gadget costano molto e la politica italiana pensa di farne a meno, un po’ come della spensieratezza.

Gli anni ’90, di cui Silvio Berlusconi era un’icona, sembrano davvero troppo distanti da una realtà contemporanea in cui è cambiato molto, a partire dalle logiche elettorali.

Nell’epoca della campagna permanente il manifesto, uno dei cavalli di battaglia di Silvio, perde la propria rilevanza strategica a favore delle campagne sui social media. Gli spot TV invece sono ancora sostanzialmente vietati, retaggio di  una vecchia legge sulla “par condicio” del 2000.

La costruzione raffinata della campagna elettorale, lascia il posto a una serie di battute, dichiarazioni, quasi come in una pièce teatrale, estenuante, infinita e spesso (ahinoi) improvvisata. Con Berlusconi se ne va l’ultima esperienza vera di marketing politico in Italia ragionato, studiato, ben realizzato.

La stagione dell’antipolitica, inaugurata dal best seller “La Casta”, influirà anche nelle modalità comunicative, i cui strascichi sono presenti ancora oggi, in una scena mediatica in cui si fatica a scorgere un’eredità comunicativa che esca dalle logiche del talk show e delle dichiarazioni sotto forma di Tweet.

Fare un buon marketing politico, anche nel 2023, è tuttavia possibile: in una nuova veste, con nuovi contenuti, per alzare nuovamente il livello e la complessità. I cittadini/utenti/elettori sono probabilmente già pronti per un’offerta di questo tipo.

Chi raccoglierà l’eredità politica e comunicativa di Silvio Berlusconi (ma non solo) ne tenga conto.

Source: http://www.ninjamarketing.it/

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