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Free speech: perché censurare i media russi non è utile a nessuno

The return of history“: il Time ha definito così, con una delle sue copertine iconiche, la guerra in Ucraina.

L’immagine del carro armato sulla strada, con i giovani militari sopra, è un immediato richiamo ai grandi conflitti del passato.

C’è una generazione, la Z, che un tank non lo ha mai visto, nemmeno in TV. Nati dopo la guerra nei Balcani, troppo piccoli per l’Iraq e la Cecenia, hanno vissuto l’evacuazione di Kabul come un episodio lontano, difficilmente collocabile in un ricordo.

Cresciuti con l’idea della pace come elemento acquisito, il risveglio nel mezzo alla storia è stato brusco.

Time Magazine, copertina, 24 febbraio 2022

Quando la comunicazione diventa propaganda

La propaganda in tempo di guerra viaggia parallelamente al binario della censura e anche questo conflitto non si sottrae a questa logica.

Era il 23 aprile 1999 quando, in piena Europa, un missile NATO sfondava il palazzo RTS, sede della Radio e della TV di Belgrado; lo scheletro dell’edificio è ancora là, integrato con i palazzi più moderni, come un drammatico monumento alla memoria.

Belgrado, particolare del palazzo della TV oggi. Foto: David Mazzerelli

Nella guerra in Ucraina uno dei primi obiettivi russi è stata la torre della televisione di Kiev, il più alto traliccio al mondo.

Ma se la propaganda serba con le bombe NATO ebbe una battuta d’arresto, nel 2022 è difficile fermare il flusso della comunicazione in una guerra in cui ogni smartphone documenta l’avanzata dei soldati e le scene di violenza.

Eppure la propaganda russa è stata fermata, almeno all’interno dei paesi occidentali, grazie ad una vasta offensiva di censura partita dall’Unione Europea e accolta dalle Big Tech: Apple (App Store), Alphabet (con YouTube, Google News e Play Store) e Meta (Facebook, Instagram e le app di messaggistica) hanno interdetto i media russi (specialmente Russia Today e Sputnik) dalle loro piattaforme. Anche Tik Tok e Reddit hanno silenziato i canali di Mosca all’interno della UE.

Lo stesso trattamento, se ricordate, venne riservato per l’ex presidente Trump all’indomani dell’episodio dell’assalto al Campidoglio.

Tutti contro Sputnik Italia: chi ha paura delle voci alternative?

Abbiamo raggiunto e intervistato una giornalista di madrelingua italo-russa che lavora per Sputnik Italia. Ci ha chiesto di rimanere anonima, in quanto teme per la sua incolumità.

Un timore comprensibile se pensiamo al clima di crescente ostilità che sta montando in Occidente nei confronti delle persone di nazionalità russa o vicine a Mosca.

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Da quando lavori a Sputnik Italia e di cosa ti occupi?
Lavoro per Sputnik Italia dalla sua fondazione nel 2013. Sono di nazionalità italiana e russa, laureata in interpretariato all’università di Mosca.

Per tutta la vita mi sono sentita appartenere sia all’Italia che alla Russia e ho voluto portare avanti con grande passione e orgoglio una sorta di «missione»: avvicinare le mie due culture, le mie due patrie.

È proprio nel giornalismo che ho trovato un modo per parlare dei rapporti fra i miei due Paesi a un pubblico più vasto. Per Sputnik Italia ho seguito e seguo i rapporti italo-russi e molti temi che vanno dall’economia alla cultura, fino alla geopolitica.

Come lavora Sputnik, avete una redazione in Italia o siete tanti collaboratori? Come decidete quale notizie divulgare e come le preparate? 
La sede centrale di Sputnik si trova a Mosca, ma abbiamo diverse decine di centri redazionali in giro per il mondo.

La redazione italiana si trova anch’essa Mosca, in Italia non c’è una redazione fisica.

Abbiamo però diversi collaboratori in Italia, si tratta di una decina di persone a Mosca e di sei autori in Italia. Diverse redazioni di Sputnik in altre lingue hanno anche degli hub nei paesi europei, alcune redazioni hanno trasmissioni radio.

Per quanto riguarda le notizie scegliamo le più pertinenti per l’Italia e sui rapporti fra i nostri due Paesi. Le interviste e gli approfondimenti riguardano questioni di attualità.

Free SpeechFree Speech

Free SpeechFree Speech Immagine in copertina: l’incontro tra truppe russe e milizia popolare del Donbass vicino a Novoaidar.
Fonte: Milinfolive (Telegram)

Come state vivendo in redazione la censura nei vostri confronti? Sappiamo che la richiesta di oscurare i vostri canali è partita dall’Unione Europea e le principali piattaforme si sono adeguate. 
Ovviamente stiamo vivendo male questa situazione. Posso parlare personalmente per me.

La notizia della censura dei nostri canali d’informazione da parte dell’Unione Europea mi è piombata addosso e la cosa più dolorosa è che dopo 10 anni (cioè un terzo della mia vita) che ho dedicato a questo mestiere mi vedo bloccata e impossibilitata a svolgere il mio lavoro, che amo profondamente.

Da un giorno all’altro ci siamo trovati con il canale Facebook e YouTube bloccati. L’unico social che rimaneva accessibile era Telegram, che fra l’altro è un servizio di messaggistica russo, e anche lì purtroppo, non so come, l’Europa ha bloccato il nostro canale rendendolo inaccessibile dai Paesi europei. Non abbiamo ricevuto pressioni, semplicemente hanno bloccato i nostri canali rendendo inaccessibili i nostri contenuti ai lettori europei. Per il momento il nostro sito è visitabile sul web anche dall’Italia, ma forse è solo una questione di ore.

Ursula Von Der Leyen definisce “tossica e dannosa” la “macchina mediatica del Cremlino”.

Putin ha firmato una nuova legge che impedisce alle testate giornalistiche russe di riferire sulla sua guerra all’Ucraina. In risposta, molti governi (ma non quello ucraino, stranamente) stanno facendo pressioni sui media e sulle società Internet come Starlink per vietare i notiziari russi come propaganda.

Di diverso avviso Elon Musk che ha scritto su Twitter: “Mi dispiace ma sono un assolutista della libertà di opinione“, rimandando al mittente ogni ingerenza dei governi che lo spingevano alla censura.

Elon Musk recentemente ha difeso i valori del free speech. Perché il vostro messaggio è ritenuto così pericoloso e, soprattutto, secondo te esiste una comunicazione giornalistica “tossica” che le persone non dovrebbero mai fruire?
Il nostro media dava fastidio già da parecchio tempo, ancora prima di questa attuale crisi.

Vorrei ricordare che nel 2016 l’Unione Europea aveva approvato una risoluzione presentata dalla polacca Fotyga che accostava sullo stesso piano l’ISIS e le notizie fornite dai media russi Sputnik e RT.

Noi da sempre siamo stati visti di cattivo occhio dall’Occidente perché davamo spazio a punti di vista alternativi rispetto alla narrazione dominante nei Paesi europei sostenuta dagli Stati Uniti. Un conto sono delle risoluzioni, seppure assurde, promosse dagli euro deputati polacchi, che hanno posizioni molto ostili nei confronti della Russia, un altro conto è un blocco totale dei nostri canali, un atto di vera e propria censura.

Il nostro messaggio non può essere ritenuto pericoloso, non abbiamo mai imposto niente a nessuno. I lettori dovrebbero essere liberi di consultare le fonti che preferiscono, è un loro diritto, che oggi l’Ue ha negato.

L’unico aspetto «pericoloso» del nostro media è che proponeva una visione alternativa dei fatti geopolitici, ma ripeto, i lettori hanno il diritto di ricorrere alle informazioni e alle fonti che vogliono per avere più strumenti possibili e giungere alle proprie conclusioni.

A mio avviso non esiste una comunicazione “tossica”. Esiste il giornalismo responsabile, quello che controlla le fonti e che svolge il proprio mestiere con rispetto nei confronti dei lettori. È quello che io e miei colleghi abbiamo sempre cercato di fare.

L’Unione Europea, da anni in prima linea nella battaglia contro i nostri media, ha voluto istituire un «Ministero della verità», atteggiamento pericoloso per la libertà d’espressione. Non può esistere una commissione che decide cosa va letto e cosa meno, ciò che è giusto e cosa non lo è.

Quali rischi possiamo intravedere in prospettiva in Occidente e quale sarà il futuro di Sputnik?
L’oscuramento dei nostri media può essere solo l’inizio di una serie di altri provvedimenti preoccupanti anche nei confronti di colleghi europei e italiani.

Già oggi vediamo come i professori, gli analisti e i giornalisti italiani che esprimono il proprio pensiero senza allinearsi al politicamente corretto e all’informazione «giusta» – per esempio quando criticano oggettivamente la politica espansionistica della NATO – vengono attaccati dagli ambienti universitari, allontanati o bollati come «filo-putiniani».

Il pericolo che corriamo oggi è che non si possa fare dei ragionamenti critici liberi senza essere barbaramente etichettati. Il mainstream vuole che tutti si schierino da una parte o dall’altra senza fare troppi ragionamenti.

Dietro ogni tema, ogni problema e ogni conflitto ci sono diversi punti di vista. Oggi confrontarsi, analizzare civilmente le questioni ha perso di valore, oggi prevalgono le tifoserie da calcio e le censure.

Per quanto riguarda il futuro di Sputnik posso dire che la redazione continua a lavorare, perché è il nostro mestiere, noi andiamo avanti. Devo dire che sono stata inondata di messaggi e lettere di solidarietà da parte dei nostri lettori, che vogliono continuare a leggerci. Questo fa molto piacere.

Il dilemma della propaganda

Se siamo consapevoli in anticipo della faziosità di certi media, qual è il problema nella loro diffusione? Non sarebbe per noi più utile sapere cosa stanno dicendo, anche quando quelle informazioni risultassero per noi sgradevoli?

I cittadini europei sono attrezzati per verificare le fonti, fruire delle notizie da vari media differenti e farsi una propria opinione su ogni tema: non si dovrebbe avere timore di questo, anzi si dovrebbe andare della direzione di incoraggiare la libertà e la pluralità delle fonti.

Una società forte e libera non dovrebbe avere paura di nessuna voce dissonante per quanto fastidiosa, o perfino ripugnante, possa apparire per la propria sensibilità. Recentemente un magazine serbo ha dato addirittura spazio a un editoriale sulla guerra in Ucraina a firma di Radovan Karadzic, criminale di guerra tuttora all’ergastolo per le responsabilità nel conflitto in Bosnia dei primi anni ’90.

La censura politica si intreccia con il problema dei social media e delle grandi piattaforme che, invece di ospitare ogni voce, recitano il ruolo di editori; un tema che torna prepotentemente attuale dopo i fatti delle elezioni americane 2020.

Utilizzare delle circostanze di emergenza come pretesto per bandire alcune voci dalla pubblica piazza ci trascina verso un crinale inquietante e pericoloso per la libertà di opinione.

Source: http://www.ninjamarketing.it/

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