Con il graduale passaggio di tutte le regioni in zona bianca, anche l’Italia ha cominciato a vedere la luce in fondo al tunnel, dopo mesi di affanno,soprattutto economico.
Tuttavia, non si tratterà di un ritorno alla “normalità” bensì di un nuovo inizio, in una realtà diversa da quella che ci immaginavamo, segnata dalle ferite – ancora aperte – di una pandemia non attesa.
E quello della ristorazione è uno dei settori in cui questi cambiamenti – che potremmo tranquillamente definire rivoluzioni – sono maggiormente visibili, cambiamenti che si riflettono indirettamente sulle nostre abitudini di consumo.
Durante l’annus horribilis i cuochi, così come i diversi attori della filiera alimentare, hanno dovuto riorganizzarsi per raggiungere i propri clienti nonostante le saracinesche fossero abbassate.
Ecco allora che alcuni hanno ripiegato sull’asporto e sulle consegne a domicilio, sfruttando il proprio locale come quartier generale.
Tuttavia, sono in pochi ad averci guadagnato: in molti casi, infatti, gli introiti non sono stati sufficienti per sopperire agli ingenti costi fissi, quali affitto o eventuale mutuo, lavoro salariato, canoni e contributi associativi.
Dark kitchens: boom durante la pandemia
Un epilogo diverso – e decisamente più remunerativo – ha riguardato le dark (o ghost) kitchens, che durante il lockdown sono proliferate in tutta l’Italia, anche nei luoghi più impensabili – in periferia, in aree industriali dismesse ecc.
Essenzialmente, si tratta di “ristoranti senza sala”, ovvero di cucine nascoste, prive di vetrine e posti a sedere, ispirate a prototipi londinesi.
Una tendenza che, in realtà, era già iniziata da qualche anno – soprattutto all’estero – e che la pandemia ha accelerato, promuovendone la diffusione anche nella nostra Penisola.
Pur producendo sempre cibo d’asporto, le dark kitchen hanno costi molto più contenuti rispetto ai ristoranti tradizionali, in quanto non prevedono il servizio ai clienti e, quindi, camerieri da retribuire; immaginatevi dei laboratori di soli cuochi che, quotidianamente, producono in serie diverse portate: dagli antipasti, ai primi e quindi ai secondi, che vengono comodamente inseriti all’interno di pratiche confezioni sempre più ecosostenibili.
Casi di successo in Italia
L’esempio più eclatante – e di maggior successo – è quello di Foorban, ristorante digitale nato nel 2016, che si propone di fornire pasti di qualità agli impiegati costretti a rimanere in ufficio durante la pausa pranzo.
In poco più di due anni, Foorban aveva già servito oltre 150.000 pasti nel solo territorio di Milano e nel 2018 ha stretto un accordo con Amazon, che ne ha sancito il decollo, ulteriormente favorito dal lockdown.
Rimanendo sempre a Milano, in risposta al “periodo COVID”, sono nate anche Delivery Valley, Via Archimede e Kuiri, una cloud kitchen che, oltre a produrre il proprio cibo da asporto, affitta anche delle micro-cucine agli imprenditori/chef che vogliono lanciarsi nel delivery, curando gli aspetti burocratici.
E anche se l’impostazione è lontana dall’immagine romantica che tutti noi abbiamo della ristorazione – in parte fomentata da alcuni noti programmi televisivi – è una strada che vale la pena percorrere, considerando anche la vita frenetica di ogni giorno, che ci lascia ben poco tempo da trascorrere in cucina.
Nel prossimo futuro, infatti, potremmo assistere ad un’aggregazione dei diversi siti di food delivery, su piattaforme facili da usare come Netflix.
In tal caso, come affermato dal New-York Times, saremmo di fronte “alla rivoluzione più importante dopo la nascita dei surgelati”. Tuttavia, non sono solo le dark kitchens ad aver spopolato negli ultimi mesi ma anche le e-grocery, ovvero degli eCommerce convertiti alla vendita di cibo e bevande.
Marketplace alimentare, la nuova frontiera dell’e-business
Oltre a intermediari come Cortilia, PlanetEat, OrtEat e altri, che da tempo aggregano i piccoli produttori sulle loro piattaforme e ne consegnano le primizie in tutta Italia, sempre più aziende agricole sbarcano online in autonomia.
Sul sito di Campagna Amica (Coldiretti) ci sono addirittura gli elenchi dei produttori che portano a casa la spesa. E pure la CIA (Confederazione Italiana Agricoltori) ha attivato un sito ad hoc, per i prodotti “dal campo alla tavola”, in cui si elencano – divise per regione – le aziende agricole che spediscono i prodotti a domicilio, con i rispettivi contatti.
Durante la chiusura, sono in molti ad aver ordinato la propria spesa online – anche i meno avvezzi alla tecnologia – per evitare assembramenti.
E, a dispetto di quanto preventivato, il trend continua a crescere, nonostante gli spostamenti ora – sia all’interno del proprio comune di residenza, che da una regione all’altra – siano, di fatto, consentiti.
Ciò dimostra che non si tratta di una moda temporanea – dettata solo dal momento – ma di un’abitudine in via di affermazione, che accomuna sempre più persone, perlopiù giovani; secondo una ricerca condotta da Coop Online, l’età media degli e-shoppers varia dai 18 ai 35 anni, di cui il 59% si è detto fortemente influenzato dai social media.
Non dobbiamo stupirci dunque, se le nuove generazioni, abituate ad un utilizzo frequente di PC e smartphone, preferiranno i supermercati online a quelli offline: la linea è stata già tracciata.
Box d’Autore: la cucina stellata “fai da te”
Un altro trend da tenere sott’occhio è quello relativo alle Box d’Autore, studiate in ogni dettaglio da cuochi stellati – o comunque glamour – che alimentano la curiosità dei “gastrofili”, offrendo loro la possibilità di riprodurre un piatto da Guida Michelin anche a casa, magari condividendolo con il proprio partner.
Si tratta di una via di mezzo fra ordinare un piatto finito e prepararne uno ex-novo; un’idea che stimola tanto l’intelletto quanto il senso pratico, a un prezzo inferiore rispetto al ristorante.
Gli analisti dell’agenzia di previsioni WGSN scommettono che la richiesta di pasti a domicilio (pronti e semipronti) sarà anche nel 2021 maggiore del 30% rispetto all’anno precedente alla pandemia.
In alcuni casi, la volontà obbligata di mettersi ai fornelli ha reso possibile la riscoperta di capacità nascoste – anche in chi, per lungo tempo, si è considerato una schiappa in cucina.
Ecco allora che tecniche di lievitazione, cura dell’orto ed esperimenti con ingredienti etnici sono buone pratiche che difficilmente verranno abbandonate, parola di WholeFoods.
E gli esperti ritengono che questa nuova “generazione” di cuochi sarà anche più propensa ad acquistare e seguire corsi online, per imparare e migliorarsi.
Consumatori sempre più attenti ed informati, la dieta post-pandemia è green
Parallelamente, l’aver avuto più tempo da dedicare alla preparazione dei pasti, ci ha fatto non solo mangiare meglio ma anche scegliere con più attenzione gli ingredienti da acquistare.
In particolare, gli alimenti di origine vegetale hanno superato quelli di origine animale, soprattutto la carne, confermando le previsioni di una dieta sempre più green; una dieta che potremmo definire “climatariana”, o semplicemente consapevole, che collega il benessere individuale con quello degli animali e del pianeta, prestando attenzione all’intera filiera, oltre che al confezionamento, possibilmente – e auspicabilmente – plastic free.
La pandemia, dunque, se da un lato ci ha oppressi in termini sia fisici che psicologici, dall’altro – come spesso capita nei momenti più difficili – ci ha costretto a re-inventare il nostro modo di pensare ed agire, mostrandoci nuove opportunità, fino a renderci consapevoli che le abitudini, talvolta, esistono per essere infrante.
E tutti i cambiamenti a cui abbiamo assistito negli ultimi mesi, avranno senz’altro una ripercussione sul lungo termine, tanto da definire l’evoluzione della nostra dieta e dell’intero settore della ristorazione.
Source: http://www.ninjamarketing.it/