Lo scenario distopico si è avverato: i politici sono su TikTok!
Montgomery Burns è il celeberrimo personaggio de I Simpson, proprietario della centrale nucleare di Springfield e dispotico capo di Homer. Nell’immaginario creato da Matt Groening è anche l’uomo più vecchio della città e leader della locale sezione del Partito Repubblicano.
In una puntata della stagione 6 (“Who Shot Mr. Burns” – Parte 1) Mr. Burns si presenta dal direttore Skinner vestito da giovane, con tanto di cappellino e t-shirt grunge. Skinner, che lo riconosce subito, gli chiede come creda che un uomo di 104 anni possa davvero assomigliare a un suo studente delle elementari.
Il celebre frame di questa puntata è diventato, negli anni, una tra le più diffuse base meme.
L’Effetto Burns e i politici su TikTok
Chiameremo “Effetto Burns” quella parte di comunicazione politica che viene creata per un target giovane e il cui risultato rasenta spesso il cringe.
La campagna elettorale per le elezioni politiche italiane 2022 ci offre numerosi casi di Effetto Burns, tra i più celebri: lo sbarco di Silvio Berlusconi su Tik Tok, il messaggio di Carlo Calenda che elenca tutti i luoghi comuni della piattaforma e il video inaugurale di Matteo Renzi che sembra una vera e propria parodia di se stesso; molto si è detto e scritto riguardo l’uso che la politica italiana sta facendo dei social media per parlare al pubblico dei Millennial e alla sfuggente Generazione Z.
@silvio.berlusconi
@carlocalendaofficial
@matteorenziufficiale
Quale deve essere il tone of voice giusto? Come ci si presenta? Cosa interessa veramente ai ragazzi?
Spesso i politici e il loro staff puntano su una strategia di comunicazione che tende a posizionare vicino ai giovani, utilizzando i codici linguistici (stereotipati) dei ragazzi e gestualità e temi “giovanilistici”.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: l’Effetto Burns è assicurato, con le inevitabili trollate degli utenti.
Tra slacktivism e voglia di cambiamento
A scanso di equivoci, e non per difendere i politici italiani su Tik Tok, possiamo dire che parlare a determinati target non è mai stato semplice: c’è innanzitutto da affrontare la disaffezione cronica nei confronti della politica e una rassegnazione generazionale difficile da scalfire con promesse e programmi elettorali.
Alle elezioni politiche italiane 2022 i sondaggisti stimano un’affluenza al voto tra il 65 e 70% e gli under 35 che si recheranno alle urne saranno probabilmente intorno al 50%.
Insomma, ai giovani interessa poco la politica perché si sentono poco rappresentati?
Oppure perché i temi a loro cari sono praticamente assenti dal dibattito?
Le ragioni di un fenomeno antico e trasversale alle democrazie occidentali sono molti e vari; perfino “l’attivismo” sociale, che a più riprese negli ultimi 20 anni, aveva preso il posto della vecchia cara funzione della “militanza” sembra venuto meno.
Lo slacktivism (l’attivismo pigro, quello dei copia incolla degli appelli sui social), prende sempre di più il posto della militanza vecchio stile, fatta di iniziative politiche e battaglie a suon di banchetti in centro, manifesti, cortei e volantini.
Non si cada però nell’errore di pensare che la Generazione Z sia indifferente alle cause: i giovani di oggi hanno maggiori probabilità di firmare petizioni, aderire a cause e partecipare a manifestazioni rispetto alle generazioni precedenti.
Anche grazie alla diffusione dei social media, alle app di messaggistica, ai siti web e ai gruppi dedicati, aggregare attorno a cause, e tematiche calde nell’agenda dell’opinione pubblica, oggi è paradossalmente più semplice e immediato di un tempo.
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Cari politici su TikTok, parlare ai giovani non significa parlare come i giovani
Per parlare alle generazioni più giovani i politici dovrebbero smettere di scimmiottare i giovani: l’Effetto Burns non aiuta la loro causa ma li rende delle macchiette.
I ragazzi non sono bambini: non esiste un “codice” linguistico per avvicinarsi a loro e renderci più simpatici ai loro occhi.
I ragazzi vogliono, giustamente, essere trattati da adulti anche nel linguaggio: bene dunque essere presenti nelle piattaforme da loro maggiormente fruite ma senza indossare nessun cappellino grunge o inventarsi improbabili saluti.
Per parlare efficacemente ai giovani si potrebbero rivelare, ad esempio, interessi e hobby trasversali che “svecchiano” l’immagine, a patto però che siano autentici.
Gli esempi sono molti e noti, tra tutti citiamo l’ex presidente americano Jimmy Carter, che era un grande frequentatore di festival musicali e aveva un grande rapporto con alcuni idoli dei giovani di allora come ad esempio Willie Nelson, The Allman Brothers, Bob Dylan (per gli appassionati, c’è anche un documentario che si chiama Jimmy Carter: Rock & Roll President).
Oppure Bill Clinton, che guadagnò grande popolarità suonando il sax in diretta al talk show di Arsenio Hall nel 1992.
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Insomma, la migliore strategia per parlare ai giovani è semplicemente quella di presentarsi con serietà e in maniera coerente con la propria immagine pubblica, evitando di usare terminologie giovanilistiche e gestualità imbarazzanti, parlando come si farebbe in qualsiasi talk show “per adulti” (ovviamente con i tempi adatti al format di ciascun canale).
La soluzione potrebbe quindi essere più semplice di quello che si immagina: non snaturare il proprio tone of voice ma concentrarsi semmai sui temi che interessano maggiormente un pubblico under.
Siate voi stessi, parlate loro come parlereste a una platea di Confindustria. Magari non vi voteranno ma eviterete imbarazzi e “cringiate” da parte di tutti (non solo dei giovani). Nel modesto panorama della comunicazione politica italiana attuale sarebbe già un buon risultato.
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Grafica di copertina a cura di Silvia Camerani, Venice Bay
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